
Il personaggio di Dracula è ormai entrato nell’immaginario collettivo, come il vampiro assetato di sangue, creatura infernale, simbolo del male e dell’abominio. La letteratura e la cinematografia lo hanno presentato in diversi modi, seguendo filoni narrativi ed interpretativi di diverso genere. Cerchiamo, pertanto, di fare chiarezza sul personaggio storico che ha ispirato il popolare quanto spaventoso Dracula, figura così leggendaria da meritarsi il titolo di “Principe delle tenebre”, addirittura in concorrenza con lo stesso diavolo.
La storia di Vlad III di Valacchia
Dracula viene identificato con Vlad III di Valacchia (1431-1477), conosciuto anche solo con il nome Vlad, membro della Casa dei Draculesti (da cui, appunto il patronimico Dracula). Si narra che fosse figlio di Vlad II Dracul, illustre membro dell’Ordine del Drago, istituzione creata per dare protezione al Cristianesimo nell’Europa orientale. Un’ altra denominazione che gli fu attribuita in maniera postuma, circa 100 anni dopo la sua morte, fu quella di Vlad Tepes, cioè Vlad l’Impalatore, in quanto sembra che avesse il particolare vezzo di impalare, anche in maniera diretta, i suoi nemici.
È necessario ricordare che Vlad III è considerato, in Romania, un vero e proprio eroe popolare, per il merito di aver protetto la popolazione rumena sia dagli attacchi provenienti dal nord del Danubio che da quelli provenienti da sud. L’attribuzione dell’appartenenza di Vlad al regno delle tenebre inizia a delinearsi, non solo per la fama di guerriero particolarmente accanito e brutale, ma anche per un equivoco di fondo derivante da due elementi combinati fra loro: il nome e la simbologia dell’ordine cavalleresco di appartenenza.
Come abbiamo accennato, già il padre di Vlad era membro dell’Ordine del Drago, fondato da Sigismondo di Lussemburgo nel 1418. Vi è da osservare che il simbolo di tale confraternita è un dragone prostrato, raffigurato con la coda avvolta intorno al collo, mentre sulla schiena del mostro è collocata una croce che vuole indicare la vittoria definitiva di Dio sul male. Nel Medioevo, il drago era simbolo del demonio. In lingua romena, Dracul vuol dire anche diavolo, oltre ad indicare la casata di Vlad, che con l’aggiunta del suffisso -ulea, si può tradurre come “figlio del diavolo”. Secondo la maggior parte degli autori, Vlad sarebbe nato nell’odierna Transilvania, attuale regione della Romania centrale, allora facente parte del Principato di Valacchia. Tuttavia, mancano prove certe dell’evento, sembrando piuttosto un tentativo di tenere legato Vald al personaggio del famosissimo romanzo di Bram Stoker, rappresentato al cinema da Francis Ford Coppola nel 1992, di cui parleremo tra un attimo. Si pensa, comunque, che per alcuni anni della sua giovinezza, Vlad abbia soggiornato effettivamente a Sighisoara, in Transilvania, in quanto si trattava di una zona di confine e suo padre aveva ricevuto l’incarico dall’imperatore del Sacro Romano Impero, Sigismondo, l’incarico di proteggere le frontiere meridionali del suo territorio dagli attacchi ottomani, in cambio di un chiaro riconoscimento delle ambizioni del casato di Dracul sulla Valacchia.
Di seguito Vlad, fu portato nella capitale del principato, Targoviste, dove gli furono impartiti gli insegnamenti sull’abilità nel combattimento, la geografia, la matematica, le scienze e le lingue ( si pensa allo slavo ecclesiastico antico, il tedesco, il latino e l’ungherese), nonché le arti classiche e la filosofia. Si presume che il principe Vlad III diventò una persona di notevole cultura e di marcato carisma. L’atteggiamento di suo padre fu molto ondivago, dapprima alleato con l’Ungheria, passò poi ad avvicinarsi al Sultano turco, quando comprese che si trattava dello stato più potente dell’intera penisola balcanica. Dopo alterne vicende e altri conflitti, suo padre strinse un nuovo trattato con la “Sublime porta”, come amava farsi chiamare il governo del sultano, tra le cui condizioni vi fu quella di concedere i due figli in ostaggio, a cui, comunque, fu riservato un trattamento principesco alla corte di Adrianopoli. A fasi alterne, Vlad III salì sul regno di Valacchia in tre periodi diversi, combattendo strenue guerre contro gli Ottomani che volevano dominare sull’intera penisola balcanica e faticando non poco a mantenere l’ordine interno, a causa dell’opposizione dei Boiardi, l’aristocrazia feudale, che tendeva a mantenere i propri benefici economici e di autonomia.

Il mistero sulla sua morte e la tomba
La data esatta della sua morte non è nota, ma si pensa che sia avvenuta tra l’ottobre ed il dicembre 1476. Non si conosce neanche dove sia stata collocata la sua salma, anche se alcune ricostruzioni storiche indicano che si tratti di un posto situato sulla strada tra Bucarest e Giurgiu. Anche le modalità della morte di Vlad sono circondate dal mistero: secondo alcuni studiosi, egli fu ucciso per errore, in quanto scambiato per turco, mentre altri affermano che fu ucciso dagli Ottomani, nel corso di una battaglia e la sua testa fu tagliata e poi inviata a Costantinopoli, unitamente alla sua spada, come trofeo di guerra. Un’ipotesi suggestiva, ma influenzata dalla successiva fama di vampiro, è quella che sostiene che Vlad morì a seguito del morso di un pipistrello.
Vi è ancora un’altra ipotesi, affascinante e che ci riguarderebbe più da vicino: seguendo un filone quasi romantico. Vlad avrebbe combattuto, poi sarebbe stato fatto prigioniero a Costantinopoli, riscattato dalla figlia e condotto al sicuro in Italia, dove avrebbe condotto gli ultimi anni della sua vita e sepolto nella Chiesa di Santa Maria la Nova a Napoli.
A partire dal XIX secolo, inoltre, è affiorata un’ulteriore credenza, secondo cui il Principe impalatore sarebbe stato sepolto nel monastero di Snagov, posto su un’isola in mezzo ad un laghetto a circa 40 km a nord di Bucarest. Alcuni studi archeologici della prima metà del XX secolo hanno dimostrato che la tomba attribuita a Vlad è completamente vuota. In un altro luogo del monastero è stato ritrovato un corpo con abiti principeschi ed un anello con il simbolo del dragone, ma in considerazione del fatto che è presente la testa, non può essere considerato appartenente a Vlad. La maggior parte degli studiosi ritiene che il suo cadavere possa essere stato bruciato o smembrato dai Turchi dopo la battaglia.

È interessante sottolineare che dal 2014 sono stati condotti lavori nella chiesa di Santa Maria la Nova a Napoli, per dare riscontro all’ipotesi di un eventuale ritrovamento della salma di Vlad. Nel chiostro piccolo del comprensorio conventuale, edificato nel XVI secolo, è presente un monumento funebre con inciso un rilievo che raffigura un drago, presso il quale sono collocati dei baldacchini. Tale rappresentazione indicherebbe alcuni simboli tipici dell’ambiente medievale di origine slava. A ciò si aggiunge l’incisione di un epitaffio in una lingua non ancora identificata con caratteri sia degli alfabeti latino, copto, greco ed etiope. In ogni caso, appare molto improbabile che Vlad non sia morto in battaglia, come risulta da alcune fonti, e sia fuggito e morto a Napoli.
Nel contesto dei luoghi legati a Vlad, è necessario precisare che il castello situato a Bran, in Transilvania, propinato ai turisti come il castello di Dracula, rappresenta una mera operazione commerciale, in quanto il vero castello di Vlad, attualmente in rovina, è la cosiddetta “fortezza di Poenari” che si trova sulle rive del fiume Arges.
La sua presenza in letteratura
La figura di Vlad ha ispirato la letteratura di tanti Paesi europei, a cominciare dalla fine del XV secolo. La prima apparizione letteraria di Vlad Tepes fu nel 1453, quando il re Mattia Corvino d’Ungheria inviò all’imperatore Federico III d’Asburgo un pamphlet dal titolo Storia del voivoda Dracula, poi messo in scena alla corte dell’imperatore con l’opera Storia del folle chiamato Dracula di Valacchia.
La tradizione germanica su Vlad l’impalatore deriva soprattutto dal materiale raccolto dal re d’Ungheria Mattia Corvino che aveva tutti gli interessi politici a descrivere Vlad come un mostro, tendendo ad esagerare i racconti delle atrocità che il nobile valacco avrebbe commesso. La storia del voidova Dracula divenne, poi, un best seller del XVI secolo, stampato più volte in molteplici città tedesche, in un’epoca, ci piace ricordare, in cui la stampa era stata scoperta da pochi decenni. Dracula, pertanto, divenne simbolo dell’incarnazione del male e dell’oppressione degli innocenti.
Nella tradizione russa, invece, la figura di Dracula, è presentata in maniera più positiva che nella letteratura tedesca. Nello Skazanie o Drakule voedove (Il racconto del voivoda Dracula),Vlad è presentato come un grande stratega, un coraggioso guerriero ed un giusto sovrano. Le atrocità commesse dal principe valacco sarebbero giustificate dalla necessità di difendere la propria gente dagli oppressori stranieri.
È singolare osservare che nella tradizione rumena, il ricordo di Dracula, fino alla metà del XVI secolo, cadrà addirittura nell’oblio. I cronisti balcanici lo confondono con altri principi, non menzionando in particolare né le presunte atrocità commesse tanto meno le sue eventuali virtù. Soltanto all’inizio del XIX secolo, quando il popolo rumeno cominciò a dimostrare la propria insofferenza nei confronti dei dominatori Turchi e Austriaci, Dracula riemerse dalla dimenticanza. Vlad, allora, fu presentato come un eroe popolare e le crudeltà che gli erano state attribuite furono spiegate in chiave fatalistica, come strumento necessario per combattere le ingiustizie dei nobili interni, vessatori della povera gente e per respingere gli invasori stranieri.
Il mito patriottico del principe Vlad ispirò anche il dittatore Nicolae Ceausescu, che ne sfruttò la popolarità, arrivando a designare il lago di Snagov, luogo della presunta tomba di Vlad, come propria residenza estiva.
Dracula di Bram Stoker
Ma il romanzo più conosciuto sulla figura di Vlad, è Dracula, scritto dall’irlandese Bram Stoker, considerato uno dei capolavori del diciannovesimo secolo. Tale opera letteraria fu, poi, convertita in un’opera teatrale di grande successo, nel 1925, dagli autori Hamilton Deane e John L. Balderston.
Nel romanzo di Bram Stoker, Dracula assume i connotati del “vampiro” per antonomasia, il “non morto”, che, per vivere, deve necessariamente nutrirsi del sangue di altre creature viventi.
Nella descrizione di Stoker, inizia a delinearsi la classica immagine di Dracula, provvisto di denti canini molto affilati che gli servono per mordere il collo delle sue vittime e ricavarne il sangue.
Al di là dello svolgimento della trama (di cui non parleremo, per non sottrarre il piacere della scoperta agli eventuali lettori), è importante sottolineare alcuni aspetti dell’opera di Stoker che influenzeranno l’intera letteratura successiva su Dracula.
Infatti, tutte le storie del XX e del XXI secolo sul celebre vampiro, possono essere considerate, anche in maniera non ufficiale, sequel o spin-off del romanzo di Stoker. In primo luogo, mi preme evidenziare che Stoker trae ispirazione proprio dalla figura del sovrano della Valacchia, Vlad Tepes III, di cui abbiamo parlato in precedenza, ma risente profondamente della tradizione gotica britannica ed europea in generale.
In realtà, nel romanzo di Stoker il personaggio di Dracula non è mai menzionato, in maniera diretta, come corrispondente al Vlad III storico, identificazione che, invece, si può trarre dalla lettura del terzo capitolo del libro, quando fa riferimento a valorose battaglie combattute nella sua terra da un antenato. Nel libro non viene spiegato come il conte diventi vampiro, a differenza del film di Francis Ford Coppola, di cui parleremo in seguito, in cui si afferma che abbracciò il regno delle tenebre, dopo aver rinnegato Dio per la morte dell’amata moglie.
Stoker descrive la complessa personalità di Dracula, come un uomo che, in vita, aveva presentato nobili virtù d’animo, ma che, dopo la trasformazione in vampiro, non spiegata per la verità, diventa crudele, vizioso e spietato. Agli occhi degli altri si presenta amabile e raffinato, soltanto per conseguire i propri interessi e nascondere la propria natura malvagia. Nonostante il conte Dracula, sia dotato di un’immensa intelligenza e di una straordinaria capacità di adattamento alle più svariate culture e situazioni, la sua condizione di “immortale”, non naturale per la condizione umana, in qualche modo gli genera tormento e sofferenza. Si tratta di un’interessante metafora antropologica utilizzata dall’autore, in merito alla necessità che ogni vivente persegua il ciclo naturale della propria esistenza.